Ester. Nisha. Dana
Questa è una storia che parla di amicizia, di Londra prima della Brexit, di francesi bravi e di spagnoli ancora più bravi, di burnout e di rimpatriate in Puglia, dove si rimettono insieme i pezzi.
ESTER.
Ci sono un’italiana, una spagnola, una tedesca e una bulgara che vivono a Londra. Sembra una barzelletta promettente, ma in realtà l’italiana sono io e a Londra ci ho vissuto davvero, per 3 anni.
Febbraio 2012. Mi candido per la posizione di Italian Online Content Specialist per un sito di Voucher Codes. Mi presento al colloquio senza avere le idee molto chiare né sul ruolo né tantomeno su cosa siano esattamente i voucher codes, in Italia Groupon era agli esordi. Ad intervistarmi arrivano Camila delle risorse umane, inequivocabilmente british, e Sal, il manager del team internazionale di cui avrei dovuto far parte. Sal era, invece, inequivocabilmente italiano, ma parliamo in inglese. Sal stava per Salvatore e scoprirò che è di Foggia solo a fine colloquio, quando, dopo le domande di rito, mi chiede, in italiano: “Qual è il peggior accento pugliese secondo te?”. “Il foggiano, senza dubbio”. Assunta.
Il primo giorno mi affiancano ad Ester, la mia pari per il mercato spagnolo. È gentile, le dico che parlo spagnolo perché ho fatto l’Erasmus a Madrid e lei mi dice che è di Madrid e parla un pò di italiano. Da quel momento siamo compagne di banco, io le parlo in italiano e lei mi risponde in spagnolo, ci capiamo e condividiamo una battaglia comune: portare alla gloria i nostri siti web. Italia e Spagna facevano parte del neonato team internazionale insieme a Brasile, Australia, Olanda, Norvegia e Svezia. Una sola persona per Country a fare il lavoro che “i francesi” facevano in 7. Perché il mercato francese vendeva e, sostanzialmente, pagava gli stipendi de noialtri.
“I francesi” li riconoscevi subito, erano seduti ad un altro desk, tutto per loro, a pochi centimetri dal nostro, eppure erano così “lontani”.
Io e Ester, per la prima volta nella storia di MarkcoMedia, varcammo i confini proibiti e diventammo amiche dei les meilleurs del loro team, Kevin e Marina. Ci condividono trucchi del mestiere su Google Ads, SEO, sales e affiliation marketing. Mentre in Italia nel 2012 nella maggior parte delle aziende si stampavamo volantini, io iniziavo così la mia vera formazione in digital marketing, in un campo di battaglia internazionale, con Kevin, Marina ed Ester.
Keep your friends close, but your enemies closer. (cit.).
Ester quasi non sembrava spagnola. In erasmus io avevo conosciuto le spagnole rumorose dei bottillon che ballavano a ritmo de La playa del Sol. Ester ascoltava musica rock, viveva a East London e non era mai rumorosa. Era di poche parole, ma giuste.
Anche lei non vive più a Londra, è tornata in Spagna ed è Senior Digital Marketing Manager per Zara - è sempre stato il suo progetto: sopportare la vita a Londra per poi tornare in Spagna al momento giusto, e da gran figa. Siamo ancora molto amiche e ho pensato a lei per questa newsletter perché Ester è un pò l’emblema della Spagna di oggi, al netto degli stereotipi, dei luoghi comuni e dei miei ricordi di erasmus. Una Spagna silenziosa e matura, a cui guardo con interesse e un carico di aspettative perché, per esempio, è il paese in Europa che favorisce più di tutti la distribuzione del carico della cura dei figli tra padre e madre (vedi il “modello valido a cui facevo riferimento nella scorsa newsletter).
In Spagna, dal primo gennaio 2021 il congedo di paternità è del tutto equivalente a quello di maternità - dura 16 settimane, è pagato al 100% e non è cedibile al partner. Da questo punto di vista la Spagna supera anche molti dei Paesi nordici come l’Islanda o la Svezia, dove i congedi per i papà sono di 12 settimane pagati all’80% ma sono cedibili alla madre. Questa “equivalenza” è la vera rivoluzione. Anche nei paesi nordici dove il congedo di maternità è più lungo di quello spagnolo non esiste l’equiparazione con quello di paternità. (cit. Francesca Biagiotti in “Senza giri di Boa”).
È sempre andato di gran moda fare confronti Italia-Spagna e non solo sul versante calcistico. Possiamo anche parlare in italiano e capire la risposta in spagnolo, e viceversa, ma tra Spagna e Italia ormai non c’è partita, stiamo ormai giocando in due zone diverse dell’eurocampionato: uno a metà classifica, l’altro in fondo.
Elly, dacce na mano.
NISHA.
Del team internazionale di Markco Media faceva parte anche la Germania, gestita da 4 persone e quando sono arrivata io erano già passati al livello “pro” con un desk tutto loro, subito dopo quello dei francesi. Nisha era l’Account Manager per Germania, come Marina per la Francia, e anche lei era molto in gamba. Nisha è nata in Germania ma i suoi genitori sono indiani, di Mumbai. Capisci che è tedesca solo quando parla, o beve birra.
Nisha è un ossimoro non solo per il suo aspetto ma anche per il suo modo di fare, e lavorare. Vende in modo gentile.
La sua gentilezza la ricordo bene, mi ha colpito. Ho ritrovato una recommendation che le ho lasciato sul suo profilo Linkedin un pò di tempo fa:
Nisha ha vissuto da vicino l’esperienza del burnout, di una sua cara amica, che è diventata anche nostra amica. Dopo Markcomedia ha lavorato in altre aziende in Inghilterra e poi si è trasferita a Zurigo per un nuovo incarico, nel 2016. Era felice quando ci siamo riviste in Puglia, per il mio matrimonio, quello stesso anno. C’erano anche Ester e Marina, da Markcomedia con furore. Un anno dopo ci siamo riviste, sempre in Puglia - how to blame them! - e questa volta è venuta anche la sua amica. Era a pezzi e stava cercando di rimetterli di nuovo insieme quei pezzi. Aveva trascorso diversi mesi in un centro di cura per il burnout e Nisha l’aveva portata lì, da noi, in Puglia, dove si sta bene. Nisha è quell’amica gentile che tutti dovrebbero avere.
Questa sindrome deriva il proprio nome dall’espressione inglese «to burn out», ovvero «bruciarsi, esaurirsi». Il burnout è uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale. L’OMS classifica questa sindrome come una forma di stress lavorativo che non si è in grado di gestire. Le persone colpite non sono più capaci di affrontare il proprio carico di lavoro quotidiano con le risorse disponibili e finiscono per soffrire di esaurimento cronico (cit.).
Quella settimana in Puglia ha fatto bene a lei, e a tutte noi. Ora Nisha è tornata a vivere in Germania, la “nostra” amica è rimasta a Zurigo e sta bene, ha un nuovo lavoro, un lavoro al giusto costo, e non un lavoro a tutti costi.
Non si deve arrivare al limite per fermarsi, si può rallentare prima, invece che schiantarsi.
Mi viene voglia di segnalarvi Elpsenzah, un portale dedicato al benessere psicofisico, un bel “posto” fatto di scintille (community), bussole (approfondimenti) ed esperti (psicologi e psicoterapeuti, ma non solo..).
È opera della mia amica d’università Enrica - brillante e ritardataria come poche - che un pò di tempo fa ha iniziato a fare cose strane con le iniziali del suo nome e cognome. Così Enrica La Palombara è diventato ELP, poi ELPsenzah ed è nato l’aiuto senza chiederlo. E che serve, aggiungerei.
Oggi qui a Roma c’è quella pioggia sottile e fastidiosa che “fa tanto Londra”.
Scrivo questa newsletter dopo aver accompagnato le mie figlie a scuola. Ero tentata dal prendere la macchina, ma poi ho incelofanato le twins in imbarazzanti ponchi antipioggia e siamo andate a piedi. Ci siamo trascinate tra un “attenta alla pozzanghera” e un “voglio l’estateeeee” e prima di svoltare per la scuola, ecco un immenso arcobaleno, perfetto, davanti a noi. Ci ho fatto una storia, anzi, una story.
DANA.
A Londra io non ci sono arrivata da “lavoratrice”.
Gennaio 2011. Io e quello che 5 anni dopo sarebbe diventato mio marito, freschi di laurea e carichi di ambizioni - un pò meno di soldi - decidiamo di investire quei 6 mesi di stallo tra la laurea e il master che iniziava a settembre - luglio e agosto i pugliesi vanno al mare, non scherziamo! - per “perfezionare” l’inglese.
Ci iscriviamo ad un corso di inglese part-time - “che consente a chiunque di imparare velocemente l'inglese, senza tediose spiegazioni grammaticali” (cit.) - su Oxford Street, prendiamo un biglietto di sola andata per Londra e facciamo le valigie. “Valigie” che presto sarebbero diventate “valigia”, dato che una ce l’hanno persa in aeroporto appena arrivati. Un welcome coi fiocchi, insomma. Il momento in cui mi avvicino spavalda al baggage reclaim - “vado io che ho fatto due vacanze studio in Inghilterra alle scuole medie” - realizzo che l’inglese non dovevamo solo perfezionarlo. Con la stessa disinvoltura di un cinese ad una lezione di flamenco, riferisco al futuro marito che è tutto risolto e che la valigia ce la spediranno in 2/3 giorni, al nostro indirizzo - cioè quello di una coppia di amici che ci ospitava. Non sembra convinto ma resta umile, non mi contraddice. E mi prende per mano.
Mano nella mano ci incamminiamo verso il nostro “erasmus fai da te” che sarebbe poi diventato una nuova vita per 3 anni.
Non c’era Whatsapp. Così la valigia l’abbiamo recuperata dopo 3 tentativi falliti e 13 giorni perché lo scambio di informazioni su ritiro/consegna/indirizzo/orario avveniva telefonicamente. “Uot, sorri?”, “Chen iu ripit pliiiis?”. Un’agonia che metà bastava. Che poi, alla fine, anche una sola valigia bastava, dai.
La nostra prima casa era a Dollis Hill, sulla Jubilee Line. Qui ci vivevano - e aridaje con le barzellette - due portoghesi, un bulgaro, un’estone e una lituana, fidanzata con uno dei due portoghesi che, per fortuna parlava un pò di italiano e ci ha aiutato anche a trovare un lavoretto per sostenerci mentre studiavamo. Nel nostro trascurato ma bellissimo giardino, organizzavamo spesso bbq e ogni coinquilino invitava un pò di amici. Noi invitavamo quelli della scuola di inglese, loro - che l’inglese già lo parlavano bene - quelli del lavoro. Così abbiamo conosciuto Dana, una ragazza bulgara che viveva a Londra ormai da tanti anni. Mi colpirono subito i suoi capelli: una chioma mossa costretta a diventare liscia contro la sua volontà che sembrava lottare, con tutta se stessa, gonfiandosi oltre ogni regola di gravità, complice anche la sua amica Umidità.
Anche Dana è una che lotta e che non molla. Con la pandemia, sia lei che il compagno hanno perso il lavoro e con questo anche la possibilità di restare nella casa che avevano appena arredato con orgoglio. Hanno vissuto per oltre un anno nella barca dei genitori di lui, attraccata al fiume, a nord, vicino alla Scozia dove vivevano i figli di lui avuti da una precedente relazione. Dana aveva da poco avviato Corktrend, un piccolo progetto online di vendita di articoli fatti in sughero di cui si era innamorata durante in viaggio in Portogallo - le prime borse che aveva pubblicato sul sito nel 2019 le aveva chiamate Ester, Cassandra, Alice e Camilla (le mie figlie).
Con i primi spiragli di luce dopo il lockdown, Dana inizia ad improvvisare bancarelle fronte-fiume per vendere anche face-to-face questi articoli: infradito, svuotatasche, borse, tappetini yoga, porta documenti, tutti made in sughero e importati con amore.
Dana è stata una bambina che ha affrontato un’infanzia difficile ed è diventata una donna che ha superato prove forse altrettanto difficili.
Lei ha vissuto la sua vita come la sua chioma, lottando contro la forza di gravità e ridendo a crepapelle. Lei la colorava la sua chioma, ogni anno con un colore diverso, incluso il rosa. Corktrend è diventato un progetto più grande, lei e il compagno si sono trasferiti in Bulgaria e si sono sposati. Noi aspettiamo la data dei festeggiamenti per la prossima reunion.
Oggi MarkcoMedia non esiste più, per andare a Londra serve il passaporto e mio marito parla inglese meglio di me, ma resta umile e continua a non contraddirmi. E a tenermi per mano.
Alla prossima settimana!
P.S. Sono tornata in Italia nel 2013. Ester, Nisha e Dana sono venute per la prima in Puglia per il mio matrimonio nel 2016. Abbiamo festeggiato i miei 30 anni ad Ibiza lo stesso anno e poi sono ritornate in Puglia, nel 2017, e poi anche nel 2019, per il primo compleanno delle mie figlie. Nel 2018 ci siamo date appuntamento a Manchester per un weekend e l’ultima volta che ci siamo viste è stato a Copenaghen nel 2019 per i 40 anni di Dana, che non sapeva nulla e ha pianto tutto il weekend, di gioia. Dal lockdown del 2020 ad oggi non siamo ancora riuscite a rivederci e ci accontentiamo di mandarci abbracci virtuali su whatsapp. Nessuna di voi vive più a Londra, siamo tornate tutte nei nostri paesi di origine, in momenti diversi e con esperienze di vita diverse. Leavers, but remainers.