Le persone transitano nei non-luoghi ma nessuno vi abita.
Marc Augè, 1992
Qualche giorno fa è morto Marc Augè.
Non sapevo chi fosse, l’ho scoperto ‘mo mo.
Questo mese ho preso diversi aerei e ho passato molto tempo in aeroporto, complici la mia ansia da puntualità ed i ritardi di - quasi- tutti i voli. Le ore che ho trascorso in aeroporto, circa 7 credo, sono state sorprendenti.
Ho camminato mangiando Pringles, ho visto la finale di Wimbledon seduta per terra fuori da un pub in mezzo ad una mandria di spagnoli esultanti, ho ascoltato un ragazzo giovanissimo suonare il pianoforte in maniera egregia, ho osservato persone salutarsi, incontrarsi, aspettarsi.
Ho confessato a mio marito che ho intenzione di arrivare con larghissimo anticipo in aeroporto anche per le prossime partenze, per ripetere l’esperienza. È così che, riflettendo su un luogo di transizione come l’aeroporto, mi sono imbattuta nella notizia della morte di Marc Augè, l’autore di non-luoghi.
L’aeroporto è proprio un non-luogo.
Come la sala d’attesa. Come la stazione, l’autogrill.
I non-luoghi sono incentrati solamente sul presente, sono spazi della provvisorietà e del passaggio, spazi attraverso cui non si possono decifrare né relazioni sociali né segni di appartenenza collettiva (cit.).
Luoghi di attesa, e di pausa.
Luoghi dove non si ha niente da fare ma si ha il tempo di non-fare.
E questa sorta di disponibilità temporale che ci sorprende non viene vissuta più come invasiva, ma come un’opportunità per riempire un tempo altrimenti percepito come inutile.
E quante storie si possono intercettare se non si ha null’altro da fare se non guardarsi intorno! Io lo chiamo story-training e in aeroporto viene benissimo.
Li guardo tutti, quelli che abitano l’aeroporto per qualche ora.
I miei preferiti sono quelli che non si mettono in fila quando inizia l’imbarco, ma restano seduti, fino a quando l’ultimo della fila non ha passato il varco. Con la carta d’identità già in mano e il bagaglio 55x40x20, allora s’incamminano.
Perché aspettare in piedi se si può aspettare seduti - puoi leggere nei loro sguardi - Perché stare in mezzo alla gente se puoi avere uno spazio tutto per te.
Mi piace cogliere la loro fierezza per questa incredibile manifestazione di perfect time management. Da aggiungere al curriculum, tra le soft skills.
Prenderò altri voli nei prossimi mesi, per destinazioni diverse. Alcuni con tutta la famiglia, altri da sola, alcuni per vacanza altri per lavoro. Mangerò di nuovo Pringles e mi metterò in fila all’imbarco, in piedi e in mezzo, e so già che ne sentirò delle belle.
Poi ve le racconto, ma non subito. Vado in ferie.
E quest’anno torno con calma.
Prima di augurarvi buone vacanze, vi condivido una gioia, un disagio e un consiglio, così ci lasciamo a modo mio, con tre cassandrate. Iniziamo.
La Gioia.
Una delle studentesse del Master che si è concluso lunedì non aveva passato l’esame di Google Ads il giorno della prova in classe. Era molto scoraggiata, “arrabbiata con se stessa” diceva. Le ho consigliato di andare in vacanza, rilassarsi e poi riprovarci, senza fretta. Mi ha mandato questo messaggio, il giorno dopo.
Second time is a charm, dicono gli inglesi. Saggi. La seconda volta è quella buona. E ricordatevela questa frase perché quando torno vi devo raccontare la mia buona seconda volta, fresca fresca e bella bella.
Il disagio.
Questo mese ho fatto call di lavoro in luoghi che voi umani non potete neanche immaginare. Tipo la cameretta di Alice e Camilla. Nel resto della casa un operaio, due montatori, un idraulico e un marito itinerante, un pò direttore marketing e un pò capo cantiere. Se un giorno le mie figlie dovessero leggere questa newsletter, ci tengo a precisare che nessun paw patrol è stato maltrattato e la giraffa e il dinosauro si sono suicidati per il caldo e non per la mia presenza.
Il consiglio.
Questo libro è ormai nel mio salone da qualche anno, in posizioni diverse ma sempre in bella vista. È una raccolta di pensieri di ragazzi con disagi mentali che, all’interno del Laboratorio Zanzara, diventano poesie, disegni, racconti.
Questo libro è una degustazione di minuscole, imprescindibili verità. C’è l’assurdo e c’è il sogno, la realtà nascosta e l’ovvietà spiazzante. È un libro da guardare, sfogliare, riprendere in mano spesso, immaginare. Se potete, compratene due. Uno per voi e uno da regalare.
Un’ora al giorno almeno bisogna essere felici.
Invisibile, ogni tanto risaltavo.
Odio le polpette poche.
Più di così, non ci sono.
A queste parole bisogna sapersi abbandonare.
Oggi si che ne riparliamo a settembre.
Buone vacanze!